19 Dic
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Sempre più spesso vengono proposti sul web o sulle riviste corsi di corsi di formazione che partono con moduli formativi, basati sul tradizionale corso in aula, su dispense cartacee o anche su una struttura e-learning, sotto forma di video registrati, e che assicurano la rispondenza a quanto previsto dal D.M. 140, pubblicato dal ministero della Giustizia lo scorso ottobre, che, appunto, ha imposto l'obbligo di aggiornamento a tutti gli amministratori di condominio per un totale di 15 ore annue con esame finale.

 

Al superamento dell'esame l’amministratore riceverà la Certificazione che attesta l'aggiornamento effettuato a norma del D.M. 140 ed il possesso di questo attestato è da considerarsi fondamentale per lo svolgimento della professione di amministratore di condominio., infatti in occasione del rinnovo o della prima nomina l'assemblea potrà chiedere, proprio sulla base del D.M. 140, di controllare i titoli formativi conseguiti dall'amministratore non limitandosi semplicemente a verificare l'effettiva frequentazione del corso di base ma anche, e soprattutto, di quello di aggiornamento.

 

Facile intuire come nel medio periodo chi non sarà in grado di dimostrare la propria formazione ed il proprio aggiornamento sarà destinato ad essere escluso dal mercato.

 

Insomma, niente aggiornamento, niente lavoro e fino a qui niente di male, anzi, ma quello che preoccupa di più è l'offerta su Internet, anche da parte di associazioni del settore, dove si trovano anche corsi su temi superati che vengono spacciati per nuovi o, peggio, che forniscono attestati senza che vi sia un'effettiva verifica finale; infatti la domanda che ci si pone da più parti è proprio la seguente: ma chi controlla il contenuto e la serietà dei corsi? Chi verifica che gli esami finali vengano svolti correttamente? Il Ministero su questo aspetto tace e non pare abbia intenzione, al momento, di uscire dal proprio silenzio pertanto sorge spontaneo invocare maggiore chiarezza da parte del ministero della Giustizia perché se è pur vero che oggi i condòmini sono molto più consapevoli di un tempo e fanno domande informandosi su molti aspetti, è altrettanto vero che non può bastare la loro vigilanza ed ecco pertanto che sarebbe opportuna una maggiore attenzione da parte del Ministero della Giustizia.

 

25 Nov
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La Corte di Cassazione con questa sentenza chiarisce come aprire un’attività di bed & breakfast all’interno di un condominio non comporti una variazione della destinazione d'uso e che non occorre l’approvazione da parte dell'assemblea dato che non si tratta di un'attività che può arrecare pregiudizio agli altri condomini.

 

Via libera, quindi, per un fenomeno in costante crescita, infatti per la Corte di Cassazione l’attività di Bed & Breakfast e di affittacamere non comportano un utilizzo diverso degli immobili rispetto a quelle che sono le civili abitazioni e non determinano danni per gli altri condomini.

 

Nel caso preso in esame un condominio aveva in giudizio i proprietari di alcuni appartamenti per aver esercitato attività d Bed & Breakfast in violazione di una specifica disposizione del regolamento di condominio in base alla quale sarebbe stato vietato destinare appartamenti ad uso diverso da quello di civile abitazione o di ufficio professionale privato.

 

In primo grado il tribunale aveva bloccato le attività, ma la sentenza è stata poi ribaltata in corte d'appello con una decisione confermata poi dalla suprema corte di Cassazione; i giudici di merito avevano anche evidenziato, correttamente, come la destinazione a civile abitazione fosse proprio un presupposto per potervi svolgere un'attività come quella contestata.

 

Nella sentenza la Suprema Corte afferma come sia vero che è facoltà dei regolamenti condominiali prevedere limitazioni alle destinazioni d'uso degli appartamenti; ma che tali limitazioni devono essere chiaramente espresse non potendosi desumere in via interpretativa alcuna limitazione aggiuntiva.

 

27 Ott
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In arrivo un emendamento, peraltro ancora soggetto al giudizio dell’Unione Europea,  che potrebbe fornire un notevole impulso per il settore delle costruzioni e del mercato immobiliare; infatti gli interventi di ristrutturazione potrebbero godere di un’aliquota IVA agevolata al 4% dal 10% attuale

 

L'emendamento della Commissione Ambiente prevede infatti che coloro che usufruiscono delle detrazioni del 50% per le ristrutturazioni e del 65% per la riqualificazione energetica degli edifici, paghino l’IVA al 4% . 
 
Sembrerebbe peraltro che il testo dell’emendamento vada ad escludere  gli interventi di manutenzione straordinaria e di risanamento e restauro conservativo includendo soltanto gli interventi d ristrutturazione, esclusi anche gli altri interventi minori che attualmente godono della detrazione del 50%  quali ad esempio i lavori per il contenimento dell’inquinamento acustico, le misure antisismiche  e le misure contro gli infortuni domestici.
 
Per quanto riguarda invece la riqualificazione energetica la riduzione IVA riguarderà tutti i lavori che attualmente godono dell’agevolazione relativa all’ecobonus
del 65% quali il solare termico, gli infissi, i cappotti, le coperture ed i pavimenti, le caldaie a condensazione, le pompe di calore ad alta efficienza, gli impianti geotermici, gli scaldacqua a pompa di calore, i lavori sulle parti condominiali e la riqualificazione energetica generale dell'edificio.
 
Farebbe da contraltare a questo emendamento l’aumento dal 4% al 10% dell’aliquota IVA relativa alle nuove costruzioni vendute direttamente dalle imprese. 

Attualmente è bene ricordare come siano soggette all’aliquota IVA del 4% la costruzione e l’acquisto della prima casa da un’impresa entro 5 anni dall’ultimazione e l’acquisto di beni finiti per la costruzione di abitazioni, uffici e negozi.
 
L’emendamento proposto dalla Commissione Ambiente rischia però la bocciatura da parte della Commissione Bilancio che sta formulando il suo parere in merito al testo presentato e dubbiosi sembrano essere anche i tecnici del Servizio Studi della Camera in merito alla possibile mancanza della prevista compensatività degli effetti finanziari.
 
Resta infine da vedere come si esprimerebbe in merito Bruxelles dato che l’aliquota del 4% è un’aliquota ultraridotta  adottata con una specifica deroga al momento della emanazione della prima direttiva IVA in relazione ad una ben definita tabella di beni e di servizi risultando pertanto non modificabile.

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